sabato 25 novembre 2017

“Vincent sul divano” di Marco Marrocco: tra arte, follia, sofferenza e perdizione

Vincent sul divano, Marco Marrocco
“Alcuni vedono un Van Gogh e dicono che visionario! No, io vedo Van Gogh e dico fratello, finalmente la realtà parla attraverso te. Le tue pennellate sono parole esatte, senza errori, e ti fai capire benissimo, anche da chi non parla la tua lingua. Si vede che quei corvi, prima che li inchiodassi sulla tela, ti hanno squassato l’anima, e se ne sono andati in giro per il tuo corpo sbattendoti le viscere.”
Ci sono libri che si leggono per svagare la mente e e viaggiare verso mondi fantastici, altri per scoprire le vite di grandi della cultura a trecentosessanta gradi. 

Vincent sul divano” (Fefè Editore, 2017, prefazione di Domenico Mazzullo, postfazione di Barbara Alberti) è uno tra questi ultimi.

Marco Marrocco trova Vincent Van Gogh seduto sul suo divano e anziché sorprendersi o spaventarsi lo accoglie come uno di famiglia, lo osserva con occhi sinceri e mai compassionevoli. 

E ne scaturiscono bellissime riflessioni, crude, disorientanti, che spaziano nel tempo e nello spazio

Van Gogh non parla ma è mai stato necessario per lui pronunciare parole che andassero oltre i suoi dipinti e le pennellate così eloquenti?

Al centro di questo amabile volumetto anche la malattia mentale, quella che gli è stata associata tante e forse troppe volte. Ma quante volte si è cercato di sondare il principio della sofferenza dell’artista olandese? 

Ci prova Domenico Mazzullo, psichiatra clinico e psicoterapeuta, nella sua interessantissima prefazione ricca di particolari che raramente vengono presi in considerazione quando si rievoca la vita di Van Gogh.
Marco Marrocco

E se fosse l’arte stessa ad assorbire le esistenze di chi ci si immerge completamente? Cosa è la follia e chi può realmente essere definito folle? Qualcosa di tangibile o una definizione strampalata per definire chi la vita l’ha vissuta fin troppo intensamente e con profondo supplizio?

“Vincent sul divano” è un mix di ragionamenti che ne portano ancora altri e il lettore non può che rimanere affascinato dalle visioni portate da Marco Marocco che non a caso lavora nel mondo del cinema ed è perciò avvezzo alla realizzazione di mondi e storie.

Perciò se amate l’arte ed esplorare storie cogliendo dettagli inediti che vi conducono verso nuove prospettive questo è il libro che fa per voi. 

Saranno sufficienti poche pagine per creare in voi la consapevolezza di avere davanti qualcosa di forte, di affascinante, di coinvolgente e sconvolgente al tempo stesso.

Buona lettura!

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venerdì 3 novembre 2017

"Un marito illuminato” di Ryūnosuke Akutagawa: l’arte, l’amore e l’incontro delle culture

Un marito illuminato, Ryūnosuke Akutagawa
“Fosse quel che fosse, non perciò riuscivo a vedere la loro vita insieme come illuminata da quel breve scambio, quasi si fosse trattato di un fulmine rivelatore. A pensarci ora, mi sento come se fossi stato presente al sipario che si stava aprendo sulla tragedia della vita di Miura. A quel tempo, comunque, si trattò solo di un’ombra leggera di ansia che momentaneamente velò il mio spirito; subito dopo tutto tornò normale, mentre io e lui iniziammo un allegro scambio di calici.”
Ci sono piccole case editrici che si occupano di grandi autori e pubblicano perle della letteratura mondiale. Una di queste è l’italiana, o meglio pistoiese, Via del Vento Edizioni, fondata nel 1991 da Fabrizio Zollo con l’intento di pubblicare testi inediti e rari di grandi letterati italiani e stranieri del Novecento. Da allora sono innumerevoli i testi pubblicati e le collane sono oggi ben quattro (due cessate di recente).

“Un marito illuminato” (maggio 2017, Collana «I quaderni di via del Vento», traduzione di Mami Tanaka e Francesco Cappellini), libretto di pregiata fattura, edito in sole duemila copie singolarmente numerate, è un racconto di Ryūnosuke Akutagawa (1892 – 1921), inedito in Italia.

Molti tra voi avranno sentito parlare di “Rashōmon” (reso noto dalla trasposizione cinematografica di successo di Akira Kurosawa del 1950) ma avete mai letto qualcosa di questo poliedrico autore giapponese che visse un’esistenza travagliata e la cui fine giunse troppo precocemente?

“Un marito illuminato” è un piccolo capolavoro per la maestria con la quale descrive il sentimento di straniamento imperante in quegli anni in cui l’Occidente, più o meno volontariamente, cominciava ad inserirsi nel mondo orientale. Un Occidente che attraeva ma che metteva anche a rischio la tradizione millenaria giapponese. Il tono non è però serio come si potrebbe pensare, l’ironia impera subdolamente, a partire dal titolo.
Ryūnosuke Akutagawa

E poi c’è l’arte, quella del periodo Edo di Hiroshige, di Utamaro e Hokusai, con i loro mondi fluttuanti (l’ukiyo-e) e i tratti così riconoscibili e fortemente radicati in quella cultura unica al mondo che ancora oggi è rimasta intatta, nonostante tutto.

“La baia di Tokyo incisa con onde spumeggianti; piroscafi con le bandiere al vento; stranieri, uomini e donne, camminavano per le strade; alberi di pino alla Hiroshige, i loro rami protesi verso edifici in stile occidentale…”

E infine l’amore, il vero protagonista del racconto, visto sotto diverse sfaccettature e messo a confronto con la tradizione nipponica, con quella francese e con la percezione, inaspettatamente molto attuale, che se ne aveva allora, con donne che, anche per via del passato dell’autore stesso, sono crudeli e avvolte da un’aura non certo positiva.

Un libretto prezioso, da conservare con cura, da leggere e rileggere e del quale godere pienamente grazie alla curatela di Francesco Cappellini. 

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mercoledì 1 novembre 2017

"Il pesce che scese dall'albero" di Francesco Riva: perché crescere felici e in autonomia è possibile nonostante la dislessia

Il pesce che scese dall'albero, Francesco Riva
“Credo infatti che ognuno di noi nasca per compiere una missione, una personalissima rivoluzione umana, e credo che ognuno venga al mondo con le capacità necessarie per poterla attuare e diventare quindi un esempio per gli altri. Grazie all’impegno costante nel coltivare le proprie passioni e credere nei propri sogni, con gli strumenti giusti si possono raggiungere risultati che nessuno si aspetterebbe. Nemmeno noi.”
Di recente avrete sentito parlare della settimana dedicata alla dislessia, o meglio ai Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA). Se prima l’argomento era quasi tabù ora se ne comincia a parlare ovunque e sorgono anche i primi dubbi sui numeri che crescono di giorno in giorno. C’è chi si chiede se oggi tutti sono dislessici, se stiano nascendo speculazioni riguardo le certificazioni (i cui costi non sono per nulla bassi) e se chi opera nelle scuole (a partire dalla primaria) sia adeguatamente preparato a cogliere caratteristiche degli alunni che facciano presagire ad un disturbo dell’apprendimento e soprattutto ad utilizzare misure dispensative e strumenti compensativi che non penalizzino gli studenti.

Di storie ce ne sono tante e di recente mi sono ritrovata a leggere quella di Francesco Riva, autore de “Il pesce che scese dall'albero” (settembre, 2017) edito dalla Sperling & Kupfer, casa editrice che ultimamente ha pubblicato altri interessanti libri sull'argomento.

Francesco racconta il suo percorso dalle scuole elementari ad oggi. Comincia con le difficoltà nella lettura e nell'imparare le tabelline a memoria. Ecco quindi le classiche accuse, Francesco non ha voglia di studiare, è pigro, e finisce in fondo all'aula. Ma se fosse solamente dislessico? A pronunciare tali parole una maestra lungimirante che cambia la prospettiva di Francesco e dei suoi genitori. 

Francesco Riva
Sarebbe bello poter dire che da quel momento in poi fu tutta discesa ma senza dubbio ebbe inizio il cammino alla scoperta delle sue capacità e degli strumenti che gli sarebbero stati utili per compensare le sue difficoltà che altro non sono che una maniera differente di funzionamento del cervello e non una malattia come tanti forse credono. 

E in mezzo a tante battaglie Francesco diventa così bravo da entrare in un’accademia teatrale dove scopre che recitare è una passione un’occasione per sperimentarsi. Nasce così uno spettacolo teatrale, un monologo, che gira l’Italia e che racconta la sua storia di ‘dislessico felice’ come lui stesso ama definirsi.

“Il pesce che scese dall’albero” è la storia di riscatto di un bambino, ora divenuto uomo, che non si è mai lasciato trascinare dalla negatività o dagli ostacoli incontrati lungo la via. Sono passati tanti insegnanti e tanti pregiudizi, ci sono stati tentativi di sminuirlo affidandogli compiti differenti dai compagni, di farlo sentire ‘diverso’ nel senso più negativo del termine. Ma Francesco non è mai stato solo e in tanti, i genitori prima di tutto, l’hanno aiutato a comprendere e a trovare gli strumenti più adatti a lui.

“Insomma, stavo applicando lo strumento compensative delle mappe concettuali mentali: visualizzavo eventi e concetti in forma di immagini e sensazioni, così da creare un piccolo schema logico su cui basare il discorso senza perdermi in arzigogoli."

I disagi a scuola prima o dopo li vivono tutti e spesso gli insegnanti contribuiscono a diffondere un’aura negativa. Francesco espone, con anche esempi pratici, le sue difficoltà e immedesimarsi nella sua storia risulta molto semplice. Al tempo stesso mostra i suoi punti di forza e tutti quegli aspetti che hanno fatto sì che riuscisse ad esprimersi al massimo nonostante tutto.


Francesco è sceso da quell'albero ed è salito su un altro ancora più alto sul quale solo lui è in grado di arrampicarsi. E chissà che le sue parole non possano essere di conforto per chi ha vissuto una storia simile alla sua o per chi solo ora per la prima volta scopre i disturbi specifici dell’apprendimento e ha voglia di capire e saperne di più. 

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