venerdì 26 gennaio 2018

“Bambinate” di Piergiorgio Paterlini: quando il non agire non giustifica la crudeltà

Bambinate, Piergiorgio Paterlini
“Io dicevo passione. Loro che ero solo arrogante, presuntuoso, saccente. Io dicevo giustizia. Loro mi dicevano megalomane, predicatore da quattro soldi, giustiziere dei miei stivali. Io dicevo schieratevi alzate il culo chi tace acconsente chi è connivente è peggio di chi fa il male chi è complice è peggiore del peggior malfattore. Loro, che ero un esaltato, uno che vedeva la pagliuzza nell’occhio dell’altro e non la trave nel proprio, uno di quelli che cercavano di imporre la democrazia con la dittatura.”
Come molti di voi, amanti dei libri, sapranno, sabato 20 gennaio 2018 è ricominciato l’amato “Per un pugno di libri”, ancora una volta condotto da Geppi Cucciari e dal mitico Piero Dorfles. Chi conosce il programma sa che quest’ultimo non manca mai di dispensare interessantissimi consigli letterari ed è in questa occasione che ha presentato “Bambinate” (Einaudi, 2017) di Piergiorgio Paterlini.

Tutto comincia, o meglio riprende con la comparsa di quell'invito alla cena di classe con i compagni delle scuole elementari, cinquant'anni dopo. E basta così poco per riavvolgere il tempo e tornare a quel paesino della Bassa Padana, ai giorni in cui gli amici e lui, spettatore inerme ma cosciente, si divertivano con il più debole in maniera crudele, disarmante. Era la metà degli anni Sessanta, era il Venerdì Santo e i personaggi della tradizione religiosa erano tutti lì, compreso il piccolo Cristo in croce. Tutti guardavano, ma nessuno vedeva. E se gli altri avessero dimenticato questo pesante fardello? Forse solo lui ha continuato a ricordare dolorosamente?

“Bambinate” è un tuffo nel passato più attuale che mai. Il tema principale è il bullismo ma trattato in maniera differente dal solito. I protagonisti sono ormai adulti ed è interessante comprendere quale sia la percezione dei fatti così tanti anni dopo.
Piergiorgio Paterlini

Ad uno ad uno vengono scardinati tutti quei luoghi comuni del genere: ma sì, noi ci divertivamo ma alla fine lui era un pappamolla incapace di difendersi! Erano scherzi da bambini!

Ma quando si oltrepassa il limite? E quale è la reale percezione di chi compie l’atto e chi lo subisce? E quella di chi ha osservato senza fare nulla, evitando di sporcarsi le mani?

Quella di Paterlini (giornalista, autore televisivo e scrittore emiliano classe 1954) è una prospettiva interessante, una storia forte dal linguaggio molto particolare, quasi uno stream of consciousness dato dalla necessità di tirare fuori il dolore e tutte quelle sensazioni tenute dentro per una vita intera.

Un romanzo breve ricco di spunti e dinamiche, a tratti agghiacciante, da divorare ma sul quale continuare a riflettere nel tempo.

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giovedì 18 gennaio 2018

“La felicità domestica” di Lev Tolstoj: l’effimerità dell’amore e della felicità oggi come ieri

La felicità domestica, Lev Tolstoj
“Avrei voluto non uscire da questa cameretta mai, non avrei voluto venisse mattino, non avrei voluto dileguasse questa mia atmosfera d’anima che mi teneva avvolta. Sogni e pensieri e preghiere parevano vive esistenze, qui nelle tenebre viventi con me, aleggianti attorno al mio letto, soprastanti a me. E ciascun pensiero era pensiero di lui: ciascun sentimento, sentimento di lui. Ancor non sapevo essere questo l’amore: io lo credevo possibile sempre così, gratuitamente largito, così.”
Di libri se ne leggono tanti: spesso ci si indirizza verso le nuove uscite e talvolta si viene attratti dai successi internazionali. Ma il vero lettore non manca di tornare ai classici e a quegli autori che sempre faranno parte dell’Olimpo della letteratura. E così perché non dedicarsi alla lettura di un romanzo poco noto (almeno in Italia) del grande Lev Tolstoj?

Si tratta de “La felicità domestica”, scritto nel 1859 (solo tre anni prima Flaubert scriveva “Madame Bovary) dall’autore russo e ripubblicato ora dalla Fazi Editore (traduzione e note di Clemente Rebora) con una copertina davvero bella e fresca. Sì, perché nonostante la storia sia ambientata in anni ben lontani dai nostri questa mantiene una freschezza ed un’attualità che colpiscono subito.

Maria ha diciassette anni e una sorella più piccola, Sonia. Di recente hanno perso la madre e il padre le ha lasciate anni prima. Con loro vive Katia, una vecchia amica di casa e lieto è il giorno in cui Serghièi Mikhàilic torna a far loro visita. Egli è un vicino e amico del padre, quasi quarantenne, tutte gli sono affezionate e la sua presenza le aiuta a dimenticare i dispiaceri. 

Lui non è sposato e lei ricorda quando il padre affermava che si sarebbe augurato per lei un marito così. Maria comincia a prendere dimestichezza con questa idea, nonostante lui le ricordi la loro differenza di età, fino a quando anche Serghièi si ritrova innamorato di lei e si sposano. Lei è giovane e sognante e il matrimonio, con tutto ciò che comporta, sempre ricordando la loro agiatezza, la porta a scontrarsi con la realtà, a crescere davvero per la prima volta e acquisire maggiore consapevolezza, pagando le conseguenze dei suoi comportamenti.
Lev Tolstoj

“La felicità domestica” è l'intensa storia di una ragazza che si fa trascinare dalla giovane età e prende perciò decisioni non troppo ponderate, così come lo saranno poi i suoi comportamenti. 

Ha la fortuna di avere un marito buono ma ben presto si fa trascinare dalla vita mondana, dalle lusinghe, da un’idea di amore che esiste solamente nella sua mente

A narrare la storia in prima persona è la stessa Maria che di pagina in pagina si rende conto di ogni sua azione e le sue parole vogliono quasi essere da monito per i lettori inesperti come lei stessa si mostrò in gioventù.

Sì, erano altri tempi, i matrimoni tra persone con una certa differenza di età rappresentavano quasi la norma, ma allora le donne erano coloro che si dovevano occupare del focolare e dei figli. Maria, una tra queste, tenta in qualche modo di ribellarsi, ma non è semplice, le manca la necessaria esperienza, si adagia e la noia persiste nella sua esistenza.

Gli scenari, la campagna russa e le case di cura europee, sono splendide, così come i bellissimi vestiti indossati e le immagini dei balli ai quali partecipavano solamente gli eletti. E la rappresentazione della vita coniugale è quanto mai realistica e pervasa da quegli aspetti oscuri e talvolta inquietanti che possiamo a ragione trasporre ai nostri tempi.

“Ci andammo: e il piacere ch’io ne provai, superò ogni mia aspettazione. Qui, più ancora di prima, ebbi il senso di essere io il centro attorno a cui tutto movesse, e che per me soltanto avessero illuminato questo salone, e la musica sonasse, e si fosse data ritrovo questa folla di gente, in visibilio per me. Tutti, a cominciar dal parrucchiere e dalla cameriera fino ai danzatori e ai vecchi, che s’incrociavano per la sala, pareva mi dicessero e dessero a vedere di amarmi.” 

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